L'Ebreo Errante
Non ricordo quando udii parlare per la prima volta dell'Ebreo
Errante.
A dire la verità, non sono nemmeno sicuro che qualcuno me ne
abbia mai parlato.
Ma quando, molti anni fa, lessi in una rivista di fatti
enigmatici un articolo molto ben documentato sull'Ebreo Errante,
ebbi la netta sensazione di aver sempre saputo della sua
esistenza.
Mi meravigliai, perché non sono ebreo né la mia famiglia è di
origine ebrea: da dove poteva dunque provenirmi quella
sensazione?
L'articolo riportava la leggenda di Assuero, l'Ebreo Errante, che
avrebbe offeso Gesù mentre veniva condotto al Golgota sotto il
peso della croce.
Cristo avrebbe allora detto ad Assuero: "Resterai sulla
terra fino al mio ritorno".
Mi appassionai alla lettura della lunga serie di luoghi che
avevano visto nei secoli il passaggio dell'Ebreo Errante:
Francia, Svizzera, Austria, Germania e molte volte l'Italia. Nel
1310 era stato segnalato a Borgo San Lorenzo, nel 1400 a Siena e
poi a Venezia, Ancona, Firenze, Roma, in Puglia e in Sicilia.
Intorno al 1830 passò per Alba, e quando da piazza Duomo svoltò
per via Tanaro, fu seguito da una folla di curiosi che non
riuscirono a raggiungerlo perché - si disse - attraversò il
fiume Tanaro a piedi e prese la via per Asti. Ricordo che quando
lessi quest'ultimo episodio provai una stretta al cuore, quasi
fossi stato io stesso incapace di raggiungere Assuero, di
fermarlo, di parlargli. Non approfondii sul momento quel mio
stato d'animo; l'Ebreo Errante rimase quindi patrimonio dei miei
ricordi come un seme gettato nella terra e destinato un giorno,
forse, a germogliare.
In effetti, negli anni che seguirono, mi imbattei più volte in
scritti sull'Ebreo Errante, e a poco a poco presi a delinearne un
mio ritratto personale.
Mi convinceva poco l'episodio dell'offesa a Gesù come motivo
della condanna di Assuero all'eterno errare. Potevo essere
tentato di credere alla figura dell'Ebreo Errante come simbolo
dell'intera razza ebraica, destinata a vagare per il mondo dopo
la diaspora. Ma da diversi anni gli Ebrei avevano ritrovato una
patria nello Stato di Israele, mentre invece ero sicuro che
Assuero, in qualche parte del mondo, proseguiva il suo cammino
senza fine.
Perché di una persona si trattava, non di un simbolo, anche se
non mi sfuggiva la considerazione che nel corso dei secoli
numerosi viandanti, eremiti, pazzi o sbandati di qualche esercito
fossero stati certamente scambiati per l'Ebreo Errante.
Esisteva, lo sentivo. E non credevo a quella voce popolare che lo
accusava di portare sfortuna ovunque si fermasse. Mi appariva
piuttosto un uomo solo, senza odio né rancore. Tornavano spesso
alla mia mente le parole che egli avrebbe pronunciato, secondo
un'antica ballata, in risposta ad alcune persone che si offrivano
di ospitarlo per la notte: "...In verità sono confuso per
la vostra bontà".
Non potevo infine dimenticare quell'episodio secondo cui l'Ebreo
Errante rimase a lungo in silenzio a contemplare l'immagine di
Gesù dipinta in una chiesa italiana (secondo altri, ad un bivio
di campagna). Interrogato dalla gente, rispose che mai aveva
visto un 'immagine così somigliante al Cristo che aveva
conosciuto davvero.
A poco a poco, nel trascorrere degli anni, mi accorsi che gli
studi sull'Ebreo Errante non mi bastavano più e che, con sempre
maggiore consapevolezza, avevo intrapreso la sua ricerca.
Per questo iniziai ad errare.
Errai in Francia, Inghilterra, Belgio, Olanda. Errai in Medio
Oriente dal Cairo a Gerusalemme. In Italia mi imbattei in un
libro dedicato interamente a lui, ma non faceva che ripetere
dicerie e luoghi comuni.
In Germania, infine, udii narrare una storia agghiacciante. Un
giorno imprecisato del 1944, nel campo di sterminio di Auschwitz,
numerosi deportati ebrei erano stati sospinti in una delle grandi
camere. Tutto si era svolto come sempre: immissione del gas, le
solite grida, i tonfi sordi dei corpi. Poi il silenzio.
I carnefici addetti all'operazione di sterminio erano abituati ad
ogni genere di orrori, ma quando aprirono la porta della camera a
gas ebbero una visione che li raggelò.
In mezzo ai cadaveri accatastati e contorti si ergeva la figura
di un uomo ancora vivo, con un lungo mantello scuro sulle spalle
ed un'espressione di sbigottito dolore sul volto, un dolore senza
fine.
Si mosse lentamente, uscì dalla camera della morte e si
incamminò per il corridoio. Guardava fisso avanti a sé,
incurante delle urla che facevano eco alla pazza fuga dei
carnefici in preda al terrore.
Trovatosi all'aperto, si diresse verso l'uscita del campo mentre
le sirene d'allarme ululavano assordanti. Un ufficiale delle SS,
a pochi passi di distanza, estrasse la pistola e gli sparò nella
schiena fino a vuotare il caricatore, ma inutilmente: i
proiettili sembravano attraversarlo senza produrre alcun effetto.
Per lui non esisteva il mondo circostante, il filo spinato, le
grida, i soldati terrorizzati, i cani da guardia ringhianti e
impauriti. Nulla lo poteva fermare Giunse davanti al cancello di
Auschwitz che si aprì come mosso da una mano invisibile, passò
sotto la scritta "ARBEIT MACHT FREI" e si allontanò
col suo passo misurato ma inarrestabile, scomparendo alla vista.
Il comando di Auschwitz impose subito il più stretto riserbo
sull'accaduto, al punto che non si è tuttora certi che lo stesso
Hitler ne sia mai stato informato. L'unico rapporto su quanto
avvenne quel giorno era custodito fra i documenti di massima
segretezza del campo di sterminio, e sarebbe stato distrutto poco
prima dell'arrivo delle forze alleate. Solo una testimonianza
orale, forse di un deportato sopravvissuto o di una guardia del
campo, aveva quindi permesso che venisse tramandata l'incredibile
storia dell'Ebreo Errante, che nemmeno ad Auschwitz aveva trovato
la morte.
Continuai ad attraversare il mondo e la vita sempre errando, al
punto di non riconoscere più me stesso, i miei luoghi, le mie
origini.
Mi trovai così una mattina a camminare nel quartiere medievale
di una piccola città al di là delle Alpi. Raramente avevo visto
un cielo così limpido ed un sole così chiaro la cui luce si
rifletteva, sprigionando barbagli luminosi, nell'acqua delle
fontane che si susseguivano lungo la strada acciottolata.
Fu allora che incontrai l'Ebreo Errante.
Mi apparve tra la folla, che sembrava non accorgersi di lui,
proprio nel mezzo della strada antica. Ci fermammo l'uno di
fronte all'altro. Mi guardò, poi, con un'espressione quasi
addolcita sul volto, disse:
"Perché io ho errato, continuo ad errare. Ma tu, anche se
hai errato, ora non errare più".
Ci abbracciammo con forza, e le mie lacrime bagnarono la sua
spalla.
Riprese il suo cammino. Lo seguii con lo sguardo finché non
scomparve dietro la grande torre dell'orologio. Non ci saremmo
più incontrati. Nella pace ritrovata avevo concluso il mio
errare.
Solo allora mi accorsi che l'acqua delle fontane continuava a
crosciare dolcemente.